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LA RIABILITAZIONE ONCOLOGICA IN DEGENZA AL S.MARIA NUOVA

UNA STRADA APPENA COMINCIATA:

2014

 

Ringrazio la Dott.ssa Carla Tromellini per avermi invitato a scrivere sul vostro giornale, per me è l’occasione per dirvi due parole su un progetto innovativo del Reparto di Med. Fisica e Riabilitativa all’Arcispedale S.Maria Nuova di Reggio Emilia, in cui lavoro: la RIABILITAZIONE ONCOLOGICA in degenza ospedaliera.

 

Forse è successo anche a voi di sviluppare un’idea o un progetto dopo l’incontro con una persona. A noi riabilitatori è capitato (e continua a capitare) proprio così.

Nessuno ce lo ha detto nei corsi di formazione, quando frequentavamo le specialità dopo la laurea in medicina, o la scuola infermieri, o il corso da OSS o la scuola per fisioterapisti, ma l’esperienza ci ha insegnato che il miglioramento dei percorsi di cura passa attraverso il confronto con i pazienti, passa attraverso le idee che loro ci suggeriscono, passa attraverso i bisogni che loro esprimono, le strategie che trovano.

 

E questa dialettica è la chiave della vitalità di alcuni progetti ora in corso nel reparto in cui lavoro: quando noi professionisti sanitari usciamo dalla prospettiva di essere i ‘fornitori di un servizio’ e dell’assistenza, ma allarghiamo lo sguardo e ci permettiamo di ascoltare, ecco che ci mettiamo nell’ottica di un dialogo con le persone, e accettiamo di RICEVERE QUALCOSA DA CHI PENSIAMO DI CURARE, qualcosa che non sia solo la gratitudine, ma che può darci l’energia per portare avanti nuove prospettive, pensare a nuovi modelli, e che rende ragione dello sforzo per un impegno professionale più qualificato.

 

Cambiare non è semplice, ma è l’unica cosa che ci salva dall’invecchiare su ‘ciò che si è sempre fatto’, su modalità di cura che inevitabilmente diventano inappropriate, se non sappiamo adattarci ai tempi che cambiano, alle risorse sempre diverse e alle persone che incontriamo.

La riabilitazione oncologica nasce come progetto ‘ufficiale’ in ASMN nel 2011, perché Alessandro nel 2010 è entrato nelle nostre storie di cura, con la sua necessità di recuperare l’autonomia dopo una diagnosi di tumore al midollo spinale a soli 32 anni. Paraplegico, ha dovuto lottare duramente per riprendere alcune autonomie.

Lui è stato il primo di una serie di incontri che ci ha fatto crescere, che ci ha dato lo stimolo per fare formazione, e ci ha portato a camminare su una strada diversa dai sentieri (forse a volte comodi) che avevamo sempre percorso prima.

Perché la riabilitazione oncologica è scomoda.

 

Ha un’ottica diversa da quello che era il tradizionale ‘recupero di una funzione lesa’: prima in riabilitazione era diffusa la prospettiva di aiutare il recupero di una ‘parte del corpo’, danneggiata ad esempio da un incidente, o un intervento chirurgico. Vi spiego: persone operate al femore dopo una caduta venivano aiutate a riprendere il cammino con le stampelle e a rinforzare i muscoli; persone colpite da ictus e paralizzate ad una parte del corpo venivano trattate dai fisioterapisti per il recupero, anche se parziale, dell’uso della gamba e del braccio, attraverso varie tecniche riabilitative e la prescrizione di ausili (carrozzine, deambulatori, ecc.).

Nel 2001 l’OMS ha rivoluzionato il modo di classificare le malattie: una persona non è solo la sua malattia o la sua disabilità; “l’International Classification of Functioning” dell’OMS dice che una persona ha, nonostante la malattia, capacità e risorse, diverse a seconda di ogni individuo, a seconda del momento e del contesto; ogni persona malata si confronta con fattori personali importantissimi (quali la motivazione e il modo di reagire alla malattia) e l’ambiente esterno, altrettanto fondamentale, quando pensiamo a dislivelli o passaggi stretti che possono rappresentare barriere architettoniche anche se non sei malato, ad esempio per una mamma e un bimbo col passeggino.

 

La riabilitazione ha quindi assunto sempre di più l’obiettivo di puntare al miglioramento della

QUALITA’ della VITA e in questa ottica è applicabile a tutti i campi, compreso quello dei malati

‘oncologici’, che fino a qualche anno fa erano considerati ‘segnati’ da una malattia rapidamente evolutiva e a prognosi sfavorevole, quindi non candidabili alla riabilitazione.

Per il S.Maria Nuova la riabilitazione oncologica in degenza ospedaliera è una disciplina molto

giovane, una ragazzina nei confronti di aree di lavoro più consolidate, quali la riabilitazione

neurologica o dopo patologie ortopediche.

Dopo aver toccato con mano, con l’incontro con Alessandro, quanto sia necessaria una presa in carico riabilitativa anche nelle persone con neoplasia e quanto sia necessario che l’equipe

riabilitativa sia preparata e formata sotto tanti punti di vista (anche quello psicologico), ci siamo impegnati per costruire un percorso di cura migliore, con letti di riabilitazione oncologica

appositamente dedicati nel nostro reparto di Medicina Fisica e Riabilitativa. Dai vari reparti

dell’ospedale è possibile, dopo valutazione di un fisiatra, accedere a questi letti di riabilitazione oncologica per trasferimento, e il team riabilitativo, composto da medici, infermieri, fisioterapisti, OSS e logopediste, ha l’obiettivo di facilitare la ripresa dell’autonomia della persona e accompagnarla fino al rientro a casa, coinvolgendo anche la famiglia nel percorso di recupero.

 

Abbiamo cominciato anche approfondimenti sul tema della COMUNICAZIONE con la Dott.ssa

Tromellini e la Dott.ssa Feo, psicologhe, perché nel corso degli studi c'è poco spazio per imparare a ‘stare con le persone’, ma questa è la nostra realtà quotidiana, e nonostante tutti i limiti che viviamo nello svolgimento del nostro lavoro (limiti di tempo, di risorse, fatiche personali, ecc.), ogni giorno abbiamo l’occasione concreta di costruire delle relazioni positive, se lo vogliamo, che aiutino pazienti e operatori a vivere meglio, ognuno per la propria prospettiva.

 

Abbiamo ora in cantiere un progetto di inserimento nel team riabilitativo di una terapista

occupazionale, che consenta alle persone ricoverate presso il nostro reparto di riprendere attività possibili prima della malattia, come cucinare, giocare a carte, utilizzare il computer, cucire, ecc. vista l'importanza di trovare strategie a 360°, che aiutino la persona a superare le difficoltà nella vita quotidiana.

Concludo ringraziando, oltre ad Alessandro e a sua moglie Silvia (che si sono resi disponibili a

raccontare un pezzettino della loro storia, che leggerete di seguito) anche tante altre persone che ho incontrato in questi mesi, che ricordo distintamente e con affetto, anche se alcune di loro non ci sono più: Ravi, Cristina, Sergio, Daniela, Donata, Clara, Massimo, ecc.: ognuno di voi ci ha dato stimoli per migliorare ancora questo percorso che è nato da poco, e ha ancora tanta strada da fare, per diventare più fruibile e più utile alle persone che verranno.

 

 

 

Stefania Fugazzaro, fisiatra

Med. Fisica e Riabilitazione

S.Maria Nuova di Reggio Emilia

 

 

 

IL RACCONTO DI ALESSANDRO 

 

La malattia oncologica ha segnato la fine del “vecchio me”. Prima scalavo montagne, correvo, sollevavo pesi e viaggiavo moltissimo, poi improvvisamente alcune immagini che non capivo, il ricovero in ospedale e la rapidissima perdita della possibilità di camminare mi hanno costretto a riconsiderare la mia vita. Se all’inizio è lo sconforto ciò che accompagna le tue giornate, quasi subito io e la mia famiglia abbiamo capito che l’unica parola d’ordine in questi casi è “reagire”: reagire contro la depressione, reagire contro un male che non può e non deve vincere contro un ragazzo di trent’anni che si è appena sposato e ha tutta una vita da costruirsi, reagire anche contro chi ti dice “non potrai più camminare e andrà sempre peggio”. Convincere i dottori a farmi accedere al reparto di fisioterapia non è stato facile, poiché in un caso come il mio un recupero dal punto di vista riabilitativo non era considerato. Ho insistito, ho parlato più e più volte con i dottori facendomi aiutare da chi mi stava vicino perché non sempre avevo la forza di impormi e alla fine mi hanno fatto un test.

Ricordo ancora la dottoressa della fisioterapia che mi aveva ricevuto per valutare le mie capacità motorie, ma anche e soprattutto per valutare la mia caparbietà. Quante domande, quante volte mi ha chiesto se ero davvero pronto ad impegnarmi e preparato per le possibili sconfitte che sarebbero giunte. Preparato? Chi può dirsi preparato a lottare per riconquistare qualcosa che era già tuo dall’età di due anni? Non ero preparato e non sapevo che cosa avrei fatto in fisioterapia e che cosa sarebbe successo dopo, ma sapevo perfettamente che bisognava provare, che volevo e dovevo lottare per riguadagnare tutte le possibili autonomie che la mia situazione mi poteva ridare. Il reparto di fisioterapia dell’ospedale di Reggio Emilia non è molto accogliente dal punto di vista strutturale, il corridoio è piccolo, le camere hanno più letti e tutto il piano è molto datato, ma qui ho trovato un ambiente ospitale, dei dottori, infermieri, fisioterapisti e OSS molto competenti e, soprattutto, ho incontrato delle persone che mi sapevano ascoltare. Il percorso riabilitativo è molto difficile, quando stavo bene scalavo le montagne, ma tutto ciò che facevo era sempre calcolato, sicuro, l’avevo studiato e ristudiato prima di farlo, ora, al contrario brancolavo nel buio, mi dovevo affidare a persone che ancora bene non conoscevo, che mi chiedevano cose che non sempre ero capace di fare. Alcune volte mi sentivo spaventato, ma dopo poco tempo ho capito che il mio fisioterapista Lauro Gaddi e la dottoressa Stefania Fugazzaro avevano una grande qualità, la più importante a mio parere, sapevano ascoltare. Parlavamo di ciò che pensavo e di cosa sentivo durante gli esercizi, ascoltavano le mie proposte e mi mettevano in grado di provare esercizi che avevo pensato io. Imparare ad ascoltare il proprio corpo è fondamentale poiché, come mi hanno insegnato proprio loro, la degenza in fisioterapia è solo l’inizio di un percorso che nasce con fisioterapisti e dottori che ti tengono per mano e ti guidano facendoti proposte e insegnandoti esercizi, ma che deve tendere sempre di più ad una consapevolezza del paziente, che deve diventare protagonista del proprio percorso e poi sempre di più padrone del proprio corpo fino ad arrivare ad uscire dall’ospedale per condurre una vita indipendente. 

 

Mettendo su di una bilancia le varie fasi del mio percorso riabilitativo potrei suggerire all’ospedale di rendere più agevole l’accesso alla fisioterapia, e anzi direi che tutti i malati oncologici che hanno subito dei deficit a causa della loro patologia dovrebbero essere spronati ad intraprendere un percorso riabilitativo poiché forse ci sarà chi, come me, non potrà più scalare una montagna da solo, ma vi assicuro che poter riacquisire anche solo una parte di quelle autonomie che consideravi perse rende la vita migliore e ti sprona ad andare avanti perché la parola d’ordine, ogni volta che ci troviamo davanti questo nemico è COMBATTERE, COMBATTERE, COMBATTERE.

 

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